Quando si parla di difesa degli ungulati selvatici, e del relativo ruolo del cacciatore, non bisognerebbe confondere la tematica dandole un ruolo prettamente ambientalista.

In questa accezione, chi pratica l’attività venatoria diventa ciò che i bambini definiscono “brutto e cattivo” e gli animali vanno difesi a prescindere dai danni che possono causare a ecosistemi, fauna locale o attività antropiche come l’agricoltura.

Si intende piuttosto quella serie di iniziative volte a equilibrare, e per questo anche proteggere, la presenza degli ungulati, che possono essere pericolosi o dannosi sotto diversi punti di vista (i cinghiali in primis, ma non solo) e per i quali l’azione di caccia (soprattutto selettiva) è un argine importante.

All’attività venatoria si aggiunge inoltre l’applicazione di sistemi di recinzioni e barriere per evitare gli ingressi della fauna selvatica all’interno dei campi coltivati e i conseguenti danni.

La presenza degli ungulati selvatici nel territorio

La presenza di ungulati nel nostro territorio è notevolmente variegata: dal cinghiale al capriolo, dal daino al cervo, per finire con camoscio, stambecco e il più raro muflone.

Ognuno di essi ha un suo habitat preciso e una sua distribuzione territoriale, in base alla loro capacità di adattarsi riescono a convivere in modo più o meno attiguo all’uomo e alle sue attività (e in alcuni casi a diventare purtroppo un problema).

In base al loro stato di sopravvivenza è possibile attuare diverse misure atte a controllarne il numero e gli effetti sul territorio, cercando di ottenere vantaggi per quanto riguarda la biodiversità, l’agricoltura e la vita dell’ungulato stesso.

Il ruolo del cacciatore nella realizzazione di tali obiettivi è certamente primario (ma non esclusivo) soprattutto quando si parla di caccia di selezione.

Il ruolo del cacciatore nella difesa degli ungulati selvatici

L’importanza della caccia di selezione nella difesa degli ungulati selvatici

La caccia di selezione non è uno sport o un hobby come viene ritenuta ai nostri giorni la classica attività venatoria. È piuttosto uno strumento di controllo che cerca di mantenere l’ecosistema di un determinato territorio in equilibrio e che di conseguenza aiuta anche a prevenire le negatività e i danni che il sovrannumero di certi ungulati può causare.

Nel nostro paese è stata adottata per la prima volta a metà anni ’90 e viene gestita autonomamente dalle singole province seguendo le linee guida dell’ISPRA, ovvero l’istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. Generalmente viene attuata programmando il numero di abbattimenti necessari previo censimento.

Chiaramente alla base delle problematiche richiedenti l’intervento selettivo non può che esserci l’uomo e la sua antropizzazione del territorio.

Negli anni molte specie di ungulati si sono ritrovate il proprio habitat ristretto e quindi sono state “costrette” a coabitare con noi, con le ovvie conseguenze: sovraffollamento, pericoli e danni incrementati a discapito delle persone, delle loro attività e della stessa fauna selvatica.

Non va dimenticata poi l’assenza o scarsa presenza dei naturali predatori degli ungulati: lupi e orsi ad esempio hanno stabilito il proprio habitat quasi unicamente in ambienti protetti e tutelati (spesso grazie a progetti di reintegro). I primi hanno una presenza buona in alcune regioni appenniniche, ma non bastano per evitare ad esempio il crescente quantitativo di cinghiali o caprioli.

Il ruolo del cacciatore nella difesa degli ungulati selvatici

Caccia di selezione: un abbattimento programmato e ponderato

Il ruolo del cacciatore nella difesa degli ungulati selvatici vuol dire dunque principalmente abbattimento programmato basato sul numero di esemplari in uno specifico territorio. L’obiettivo è quello di riportare l’equilibrio ponderando la selezione in base a sesso, età, stazza e ruolo nel branco degli ungulati.

I criteri vengono stabiliti precedentemente da un censimento e di norma si cerca sempre di mantenere un rapporto strutturale ideale della popolazione di ungulati tra gli esemplari vecchi, adulti e cuccioli (che idealmente sono posti all’interno di una piramide).

La caccia di selezione viene regolamentata secondo due piani legislativi: uno nazionale e uno provinciale. Il primo in realtà non si riferisce a una normativa specifica, quanto piuttosto alle indicazioni dell’ISPRA che ogni provincia è tenuta a seguire mantenendo al contempo una propria libertà legislativa per restrizioni, requisiti e piani inerenti l’attività di selezione.

I piani di abbattimento non sussisterebbero, anzi non avrebbero ragione d’essere, senza i censimenti locali atti a produrre dati relativi alla presenza e al numero degli ungulati interessati. In base ai risultati ottenuti ogni provincia può promulgare il proprio piano del territorio.

Il controllo dell’ente non si limita solo a censimenti e piani, ma riguarda anche come si può accedere all’attività di selezione (diventando selecontrollori) e a tutto quanto fa da corollario: verifiche veterinarie, corsi, strutture.

La figura del selecontrollore dal punto di vista normativo è molto specifica: per diventare tali è necessario partecipare a dei corsi, passare un esame e iscriversi all’albo provinciale. Solo così può partecipare a questo tipo di caccia (sempre sotto la responsabilità di un agente di vigilanza venatoria), con la possibilità tramite speciali licenze di praticarla anche al di fuori della stagione o all’interno di aree protette.

Il ruolo del cacciatore nella difesa degli ungulati selvatici

L’attività venatoria e suoi benefici per agricoltori ed ecosistema

La caccia, al di là dell’aspetto sportivo, può dunque assumere un’importanza di non poco conto nel rapporto con l’agricoltura e in quello con l’ambiente, recitando da protagonista nella tematica relativa alla difesa degli ungulati selvatici.

Nel primo caso infatti il cacciatore può aiutare in maniera fruttuosa a ridurre i danni che la fauna selvatica, ungulati in primis, è capace di portare alle coltivazioni. Problematiche sempre esistite ma aggravate in seguito alle politiche di protezione introdotte negli anni ’90, che hanno poi portato all’attuazione di misure contenitive quale è per l’appunto la caccia di selezione.

E aggravate anche, come spiegato prima, dall’assenza quasi totale di predatori. Una serie di fattori che non fanno altro che rendere problematica il lavoro degli agricoltori dal punto di vista economico e li costringe a utilizzare misure protettive come le recinzioni per impedire l’accesso degli animali ai terreni.

Eppure la caccia in tal senso, e quindi il cacciatore, rappresentano una risposta più efficiente alla problematica perchè non forniscono protezione ma operano alla radice abbattendo gli animali per contenere il numero ed evitando spesso agli enti regionali e provinciali di dover eventualmente risarcire come da legge le realtà agricole colpite.

L’alleanza ideale fra cacciatore e agricoltore

In tale prospettiva e logica di rapporto è chiaro come la gestione del territorio rurale debba essere trattata dai due ambiti (caccia e agricoltura) in maniera sinergica e vantaggiosa per entrambi, al di là di possibili contraddizioni e differenze di vedute.

Chi coltiva la terra infatti è fortemente predisposto alla tutela del proprio territorio rurale ed è conscio che la fauna è una parte imprescindibile di esso, nel bene e nel male. Le ragioni di business emergono soprattutto quando l’ecosistema si squilibra ed è un’evenienza abbastanza comune se si tratta di alcuni ungulati selvatici.

Qui può giungere in soccorso il cacciatore con la sua opera di controllo e regolazione degli animali: un protagonista reale nella tutela degli interessi dell’agricoltore (e di tutta la filiera alimentare che ne deriva, fondamentale anche per il consumatore), capace di ridurre in maniera notevolmente efficace l’effetto dannoso di cinghiali, caprioli o altre specie (non tutti gli ungulati sono passibili di attività venatoria).

caccia aricoltura

È possibile definire il cacciatore come vero “ambientalista”?

La tutela dell’ambiente rurale da parte del cacciatore non porta vantaggi solo al mondo agricolo, ma anche all’ambiente e alla biodiversità locale: la difesa degli ungulati selvatici amplia dunque il suo raggio “faunistico” arrivando a diventare parte attiva nei confronti di tutta la selvaggina del territorio.

Per capire come ciò è possibile basta fare pochi esempi. La compresenza di più specie di ungulati in un determinato territorio, e quindi la condivisione degli stessi spazi, diventa spesso problematica per gli animali più a rischio: il cervo e il camoscio ad esempio risentono in maniera negativa degli alloctoni daino e muflone (introdotti in passato dall’uomo).

Il problema può però essere semplicemente numerico e in questo i cinghiali rappresentano di frequente un pericolo per altri animali, ungulati e non, oltre che per l’uomo.

La biodiversità tipica del nostro paese, differente nelle varie regioni, deve assolutamente essere considerata un patrimonio cui prestare attenzione e cura. Per questo si è mossa persino l’Unione Europea tramite la FACE (European Federation for Hunting and Conservation) e di conseguenza con il coinvolgimento della nostra Federazione Italiana della Caccia (FIDC) in un progetto comunitario di conservazione di habitat ed ecosistemi che coinvolge anche il mondo agricolo.

Non mancano dunque progetti nazionali e internazionali in cui il cacciatore assume un ruolo significativo che va al di là del semplice abbattimento dell’ungulato: protettore (paradossalmente) della fauna oltre che delle coltivazioni.

Oltre il ruolo del cacciatore: la difesa degli ungulati con barriere e recinzioni

Nella difesa degli ungulati selvatici il cacciatore non può rappresentare però la soluzione univoca e affidataria del compito. Le leggi e i permessi relativi all’attività e a tutto quello che la riguarda non permettono purtroppo di esaurire il compito e in certi casi fungono da limite a questi obiettivi benefici.

Poco importa che si sfrutti l’ambiente naturale, una rete metallica, una recinzione elettrificata o una basata sugli ultrasuoni: le soluzioni protettive sono un’ottima idea. Il problema relativo a esse deriva dall’elevato costo in caso di copertura elevata (ovvero terreno molto esteso). Ragion per cui l’azione preventiva offerta dal cacciatore non va sottovalutata, ma in determinate situazioni andrebbe addirittura implementata.

Il ruolo del cacciatore nella difesa degli ungulati selvatici

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