L’introduzione di specie esotiche negli habitat, i cambiamenti climatici o il sovra sfruttamento delle risorse naturali. Sono alcune delle concrete minacce alla biodiversità che devono spingere tutti verso un’attenzione sempre maggiore al nostro inestimabile patrimonio. 

Perché un basso livello di biodiversità porta con sé disastrose conseguenze per la natura stessa e per l’uomo. Fortunatamente la tematica, proprio per la sua importanza, sta negli anni entrando nell’agenda di enti governativi, associazioni e nella quotidianità dei cittadini. Certamente c’è da fare moltissimo, perché la questione è ancora (purtroppo) oscura a molti. Ma le direzioni intraprese fanno ben sperare

A livello internazionale, lo strumento più rilevante è nato all’interno della Convenzione sulla diversità biologica, trattato internazionale istituito nel 1992. Nell’ottobre 2010, durante la sua decima conferenza, le parti hanno infatti siglato il Piano strategico per la biodiversità 2011-2020, fissando alcuni obiettivi di rilievo. Il piano ha una vasta portata, essendo stato predisposto per l’intero sistema delle Nazioni Unite e per tutti i soggetti impegnati sul campo. 

Ed è pensato per sviluppare politiche di sostegno in quella che è definita “La decade dell’ONU sulla biodiversità”. In questa struttura, l’Italia gioca un ruolo di primo piano. 

La stessa Organizzazione delle Nazioni Unite ha diffuso un report a 25 anni dalla Convenzione sulla diversità biologica, analizzando le situazioni Stato per Stato. In questo volume si sottolinea come l’Italia sia uno dei Paesi più ricchi di biodiversità in Europa, con la più alta densità di specie animali e piante all’interno dell’Unione stessa. E con il più alto tasso di endemismo.

Minacce alla biodiversità: quali sono i principali fattori di rischio?

L’Italia delle biodiversità nell’Annuario dei Dati ambientali Ispra

L’Ispra, l’istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, ha recentemente presentato il consueto aggiornamento del suo annuario ambientale, fotografando come sempre un’attenta analisi del nostro Paese. 

Portando alla luce, in particolare, specifiche sulla biodiversità e sul consumo del suolo: argomenti che riguardano direttamente gli ambiti di attività della Fondazione UNA Onlus. 

I trend continuano a destare ancora preoccupazione. Intanto perché le minacce alla biodiversità sono in aumento. 

La fauna italiana conta oltre 60mila specie e sottospecie, ma il numero di quelle alloctone potenzialmente invasive è in costante crescita. Ce ne sono attualmente nel nostro sistema 3182, di cui 1600 circa animali e le restanti vegetali. Il fattore di rischio è quindi davvero elevato. 

Decisamente allarmante, poi, il consumo di suolo, che in Italia si attesta ormai intorno ai 23mila kmq, con picchi nelle zone costiere. Nota positiva è la velocità di trasformazione, che scende da 8 m2/sec negli anni 2000 ai quasi 2 m2/sec del biennio 2016-2017

Un quadro quindi non dei più rosei, che pone l’accento su diverse riflessioni. Ma quali sono quindi i più importanti fattori di rischio, che possono portare ad un peggioramento di tali dati?

Minacce alla biodiversità: quali sono i principali fattori di rischio?

Quali sono le principali minacce alla biodiversità

La biodiversità non solo ha un valore etico fondamentale, ma permette soprattutto la nostra sopravvivenza e quella delle altre specie al mondo. La scomparsa anche solo di una di queste può causare cambiamenti irreparabili, dal momento che l’ecosistema ha i suoi equilibri vitali. 

Non da meno, c’è tutta una componente culturale, perché i paesaggi naturali sono basilari per la storia e la quotidianità di moltissime persone, oltre che giocano un ruolo economico fondamentale per il turismo, la caccia, la pesca e l’agricoltura. Un pericolo concreto, dicevamo, pure per il genere umano. Perché, ad esempio, si stima che senza una corretta biodiversità non avremmo oltre un terzo del nostro cibo venendo meno insetti impollinatori, e senza alberi mancherebbero quelle foreste che forniscono abitazioni a più di 300 milioni di persone in tutto il mondo. O uno squilibrio causerebbe danni alla salute, visto che una larga fetta dei produttori di farmaci si serve proprio di composti tratti dal regno animale o vegetale. Insomma, i rischi sono ampi. Come:

  • Maggiore esposizione ai disastri naturali.
  • Carenze alimentari ed energetiche.
  • Calo delle risorse idriche.
  • Abbassamento dei livelli di salute.
  • Perdita di identità culturale.
  • Danni all’economia.

Tutta l’urgenza di azioni concrete emerge anche dai dati del sistema Italia. Riprendendo ancora l’ultimo annuario Ispra, sono 120 le specie di vertebrati terrestri minacciati proprio dalla perdita e dalla degradazione del loro habitat (e quasi 80 a causa dell’inquinamento). Di questi 120, il 36% sono anfibi e il 48% pesci ossei di acqua dolce. Non dimenticando l’Orso marsicano, il mammifero più in pericolo d’estinzione. Una questione cara proprio alla Fondazione UNA Onlus. Ma l’allarme nel Paese è concreto anche nel mondo vegetale, dove è minata la sopravvivenza del 54% delle 1020 piante vascolari di Lista Rossa. In generale, il 42% delle 202 policy species (specie inserite nella direttiva Habitat e nella Convenzione di Berna) è gravemente minacciato.

Vediamo allora di fare una panoramica sulle principali minacce alla biodiversità.

Minacce alla biodiversità: quali sono i principali fattori di rischio?

Sempre più specie alloctone nei nostri territori

Sono 3182, di cui 1600 circa animali e le restanti vegetali, le specie “aliene” che si trovano in Italia. Visto che nell’ultimo secolo si stima che nel nostro Paese ne sono state introdotte più di 3300, la fotografia che abbiamo è quella di un numero di varietà alloctone sempre troppo elevato. 

Anzi, non essendoci dei veri e propri monitoraggi mirati messi a regime tra loro e studi in determinate zone geografiche, si ipotizza una loro esistenza nettamente sottostimata. I trend di crescita hanno visto un picco a partire dal secondo dopoguerra, riconducibile proprio alla ripresa e allo sviluppo del commercio e dei trasporti, intensificati in tutta Europa. Le specie esotiche possono giungere infatti attraverso i vari canali di comunicazione o anche in maniera volontaria, tramite la caccia o il commercio. 

La loro presenza è fortemente dannosa: predazione, trasmissione di malattie o lotta per le risorse alimentari sono fattori potenzialmente letali per le specie già esistenti in un preciso territorio. Per questo si richiede un’assidua supervisione, non solo nei riguardi delle specie più esotiche, ma anche nel riequilibrio di quelle che si trovano in un determinato habitat. Con azioni volte a controllarne il numero e i danni e gli effetti che la loro permanenza può arrecare al luogo, cercando di ottenere vantaggi per la biodiversità. Per questo la Fondazione UNA Onlus sta portando avanti il progetto della Carta d’identità degli ungulati selvatici.

Cambiamenti climatici

I mutamenti del clima hanno giocoforza un impatto notevole sugli equilibri dell’ecosistema, diventando così tra le minacce alla biodiversità da tenere maggiormente sotto stretta osservazione. Le azioni, spesso attribuibili alle attività umane, alterano la composizione dell’atmosfera. 

Vista la loro velocità, gli habitat non riescono ad adattarsi, iniziando così a trovarsi in sofferenza. Tanto che l’innalzamento delle temperature ha generato ingenti danni alle economie mondiali. Sempre riferendosi alle ultime analisi Ispra, nel 2017 si è avuta in Italia un’anomalia di un grado e mezzo in media rispetto ai risultati rilevati nel periodo 1961-1990. Più alta rispetto alla situazione globale (che si è fermata ad un +1,20 °C). 

Ma il 2017 è stato caratterizzato soprattutto dalla siccità. La precipitazione cumulata media è andata al di sotto della norma del 22% circa, con il 2017 che si è collocato al secondo posto tra gli anni più secchi dal 1961. E’ andata peggio solo nel 2001. Questo fattore di elevata siccità si è ripercosso sul sistema idrico nazionale, con gravi problemi in molte regioni. E con danni, ovviamente, anche nell’agricoltura.

La perdita degli habitat e il consumo di suolo

Il continuo mutamento degli habitat, spesso causato da cambiamenti climatici, porta le specie autoctone a trovarsi in serie difficoltà, non riuscendo ad adattarsi appieno alle nuove situazioni. In più, la frammentazione di tali ambienti (processo dinamico di divisione in parti distinte della superficie di un territorio d’origine) fa si che la popolazione presente sia più vulnerabile. E quindi si trovi più in pericolo. Anche perché la frammentazione, in genere, costituisce un ostacolo negli spostamenti di emigrazione e di immigrazione. Uno sviluppo che è in genere antropico, ed è dovuto alla crescente richiesta di spazi per l’uomo su scala globale. 

La problematica è correlata al consumo di suolo e in Italia, sebbene si registri un rallentamento nella sua velocità di trasformazione, tale fenomeno sembra non avere significative virate. Di fatto continua comunque a preoccupare. 

La frenata nella velocità di trasformazione allora dipende probabilmente dall’attuale situazione economica. I valori maggiori di consumo si registrano al nord e più in generale nelle aree costiere. Infine, il suolo è costituito da minerali importanti, oltre che da organismi e acqua, e la diminuzione di queste componenti rappresenta un fattore di rischio per la biodiversità.

L’esasperato sfruttamento delle risorse naturali

Nel 2018 l’Earth Overshoot Day, cioè il giorno in cui la popolazione mondiale ha terminato tutte le risorse a sua disposizione per l’anno corrente, è caduto il primo agosto. Come spiegano dal Global Footprint Network, organizzatori di questa iniziativa, la data sta progressivamente spostandosi sempre più in avanti (era stimata a fine settembre nel 1997). A questo punto, per soddisfare la domanda attuale di risorse naturali ci vorrebbero ben 1,7 Terre

Quindi, per preservare la biodiversità bisognerebbe tendere con maggior insistenza verso un consumo sostenibile delle capacità del nostro Pianeta. La pesca in Italia è un esempio di quello che sta succedendo, con un’attività che incide pesantemente sull’ambiente marino. Nel nostro Paese, lo sfruttamento della pesca era in diminuzione nei suoi numeri fino al 2004, con un aumento tra il 2008 e 2009 al quale è seguito poi un riassestamento. Verso il basso. Però, nonostante politiche nazionali e comunitarie in materia, tutto questo non ha portato ad un confortante recupero delle risorse.

Inquinamento

Alterando profondamente le acque, il sottosuolo, l’aria, mutando gli habitat, l’inquinamento è una delle maggiori minacce alla biodiversità. L’inquinamento infatti tende a sballare i normali cicli biogeochimici, e in futuro bisognerà in particolare porre attenzione su quello atmosferico, visto che ormai ci sono sforamenti dei valori limite che vengono registrati in più parti d’Europa. 

In Italia a preoccupare è il bacino padano. Nel medio periodo si sta generalmente vedendo nell’Unione una tendenza comunque al miglioramento quanto a riduzione di emissioni. Sarà necessario allora implementare le misure di tutela, prendendo a riferimento la direttiva (UE) 2016/2284 in materia. Ma le cause di inquinamento atmosferico non sono solo legate all’aumento delle emissioni di gas serra o ai consumi di energia da fonti fossili: l’inquinamento si sta incrementando anche a causa della deforestazione, con le piante che aiutano a regolare il clima assorbendo CO2.

Rifiuti negli ambienti

La presenza di rifiuti negli ambienti è una questione che può essere collegata all’inquinamento. Rifiuti che poi restano negli habitat per lunghi tempi se qualcuno non si occupa della loro rimozione. 

Scorrendo le tabelle con i tempi di biodegradabilità in mare, ad esempio, si scopre che una bottiglia di plastica impiega dai 400 ai mille anni per decomporsi (così come i sacchetti di plastica), le lattine di alluminio dieci anni, i mozziconi di sigarette due e così fino alle bottiglie di vetro, che hanno un tempo indeterminato di biodegradabilità. Insomma, per proteggere la biodiversità bisogna fare molta attenzione a cosa viene gettato via. E dove. 

Nota positiva nel sistema Italia: dal 2016 al 2017 la produzione di rifiuti urbani ha segnato un -1,8% e oltre la metà dei rifiuti prodotti viene differenziata. Un buon risultato, ma ancora lontano dagli obiettivi prefissati del 65% di differenziata entro il 2012.

Proteggiamo la biodiversità, insieme

Le minacce alla biodiversità, come abbiamo appena visto, sono tante. Cambiamenti climatici, inquinamento, frammentazione degli habitat. Sembrano questioni insormontabili per la quotidianità di ognuno di noi. Ma tutti possono contribuire nella lotta alla difesa dell’ambiente, anche con piccoli gesti. Partendo da tre direzioni.

Promuovendo una buona informazione

La biodiversità garantisce la vita sulla Terra. E’ una questione che appartiene a tutti, perché tutti ne siamo parte. La tematica però non sempre finisce in primo piano. Per questo la conoscenza ambientale e l’informazione in materia stanno avendo un ruolo sempre più strategico. Specialmente nella formazione delle nuove generazioni. Per tale motivo la Fondazione UNA Onlus sta promuovendo “La biodiversità è UNA”, progetto pluriennale rivolto alle scuole primarie e secondarie di primo grado del Comune di Forlì.

Riducendo i consumi, dove e quando possibile

E’ una delle grandi sfide del futuro. In una società frenetica, diminuire il proprio impatto ambientale è una buona pratica di vita. Una risposta piccola? Ma sicuramente concreta. Dove si può ridurre?

  • Nel numero di rifiuti. Implementando il conferimento dell’indifferenziata e comunque riutilizzando i prodotti.
  • Negli spostamenti. Scegliendo, quando si può, altri mezzi rispetto all’automobile. O optando per il car sharing.
  • Nella regolazione di riscaldamenti e condizionatori.

Scegliendo prodotti provenienti da agricolture territoriali

Minacce alla biodiversità: quali sono i principali fattori di rischio?

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